Categoria: Letterature

Blog letterari

Cercavo blog letterari per tenermi aggiornata sulle ultime polemiche o sulle ultime recensioni osugli ultimi avvenimenti letterari, appunto, e sono capitata su Come la carta e l’articolo che tratta proprio dei blog letterari. Più al centro di così. Ebbene, leggendo l’analisi che l’autore fa del centenuto dei post dei blog letterari, ho sentito una certa ironia. L’ho trovata gradevole, anche  seria e documentata.

Io frequento poco i blog letterari perché non seguo le discussioni su argomenti che avverto molto estranei, nè seguo le ultime pubblicazioni e ultimi autori, specialmente quando vincono premi. Sono un poco fuori dal giro degli intellettuali. Leggo i libri secondo l’umore del momento e sono arrivata quasi alla perfezione. Vado in libreria o in biblioteca a volte con il titolo del volume, altre mi lascio attrarre dalla copertina, da qualche frasi che mi ha colpito qua e là, a caso. Di solito sono buoni libri. Ho letto Canale Mussolini esattamente un mese  fa, dopo un anno dalla sua vittoria allo Strega. Se fossi stata un critico letterario avrei potuto mettere in evidenza che il libro è a volte confuso e con troppi personaggi in azione. C’è pure un punto all’inizio in cui il linguaggio si modifica e da aulico,quasi, diventa più ruspante. Nulla da eccepire se non che il passaggio di stile pare un salto dalle stelle alle stalle alla rovescia. Nel blog letterario si pubblicano anche racconti seri, serissimi e perfetti. Ma nei blog letterari si parla molto di editing e di editor, il sacerdote della letteratura. Figura paragonabile all’enologo, stesso compito, stessa lotta, forse stesse armi? Migliorare il prodotto grezzo per poterlo vendere al mondo intero. Il loro lavoro è importante perché media fra l’autenticità dell’autore e l’industria che vende libri, prodotti commerciali.

Ogni tanto passo e leggo articoli vari, così per poter dire che ho letto questo e quello. perché se non sei dell’ambiente devi presentare le tue credenziali e io ne ho molto mene di altri. Non è che per questo valga meno, ma non  ho argomenti di conversazione attualissimi. Devo aggiornarmi e quindi torno al punto di partenza. Sfoglio i blog letterari a caso.

Ho incontrato anche questo blog, interessante.

E-book a quattro mani, da Remo Bassini

Un “concorso”inventato da Remo Bassini: scrivere un racconto a quattro mani, argomento a scelta. Ho già partecipato nel 2009, come compagna di avventura Silvia, che nemmeno conosco di persona, incontrata in rete, anzi messa in contatto da Remo. Quest’anno abbiamo lavorato in fretta, il caldo e le vacanze ci avevano distratte dell’evento. Poche email, dice Silvia, vero, due giorni di scrittura e un input interessante da parte sua. Pubblico il brano, poi metterò l’ebook con tutti gli altri racconti, i primi tre hanno vinto.

Zucchero filante

Adoro il profumo dello zucchero filato. Fin da piccolo lo avvertivo da lontano, nascosto fra i mille odori del Luna Park e correvo verso il carretto dove un uomo sorridente riusciva a fare enormi fusi di filo bianco dolce e molliccio. Affondavo i denti soddisfatto e mi ritrovavo con la faccia tutta appiccicosa. Il suo profumo penetrava nel naso e diffondeva un senso di abbraccio che mi rilassava. Anche le ciambelle fritte erano una tentazione ma mia madre le vietava per la mia tendenza alla rotondità. Era per mangiare lo zucchero filato che accettavo di andare al Luna Park. Come ora, per mio figlio e per lo zucchero filato. A dire il vero, quando era più piccolo, lo chiamava zucchero filante.
Non ho mai amato il chiasso e la folla. Per non parlare delle mille luci lampeggianti delle varie giostre. Rosso, blu, giallo, rosso, blu, giallo, all’infinito. Mi turbava tutto quel colore pulsante. La ruota panoramica invece era qualcosa di fantastico. Esiste giostra migliore?
L’emozione più forte era restare lassù, seduto dentro il cestello, fermo, con il cuore che batteva forte, a scrutare l’orizzonte e cercare con gli occhi il punto in cui il cielo si fondeva con la terra, un punto così lontano che non ho mai ritrovato. Nella terra dove non si distingueva più nulla, immaginavo mostri da sconfiggere e principesse da salvare.
“Vieni qua, devi stare vicino a noi” ripeteva mio padre quando mi allontanavo per vedere i pesci rossi nuotare in circolo dentro bocce di vetro così piccole da far venire la claustrofobia. Sarebbe ,pensavo, come tenere un uomo in una vasca da bagno: non è poi così comoda!
“Angelo, tieni i gettoni per le giostre. Quando sono finiti andiamo a casa” diceva mia madre mettendomi una decina di monete di plastica colorata in tasca. Mi chiedevo perché non potessi usare i soldi di carta del monopoli che secondo me valevano di più, e avrei potuto fare più giri. I gettoni, adesso, esistono solo per le giostre dei bambini nei centri commerciali. Se vai nei parchi paghi un ingresso, spesso salato, e accedi a tutte le attrazioni, ora le chiamano così. Mi spiace non ripetere il gesto di porgere i gettoni al giostraio che passava con il barattolo, udire il tintinnare del metallo, come autorizzazione per poter gioire ancora una volta di un volo, di un giro, di due urla di spavento.
Mi piaceva molto osservare mio padre che tentava di vincere il peluche gigante a forma di cane sparando su lattine disposte a triangolo come un castello di carte. Posava il calcio del fucile sulla spalla e, dopo avermi fatto l’occhiolino, sparava nel mucchio. Non aveva mira e quelle non crollavano mai, neppure quando diceva “Hai visto che le ho prese?” e io annuivo per farlo contento.
Non capivo perché i peluche erano sempre di improbabili colori: il cane giallo, l’elefante azzurro, la balena rosa. Giusto la rana era sempre verde, forse per farle un dispetto.
Ora che sono padre è tutto diverso: la ruota panoramica è la giostra più sfigata. “Vuoi mettere le montagne russe?” dice mio figlio per convincermi a fare un giro che in trenta secondi ti permette di vomitare l’intero pasto appena ingerito.
Il missile, le montagne russe, la nuvola, il galeone dei pirati mi scuotono fino dal profondo, risvegliano in me la paura della velocità o dell’altezza e non riesco nemmeno a pensare. Tutto si addensa in pochi secondi, brucia dentro l’adrenalina che esplode. E’ un viaggio mentale, e ne esco sempre shakerato, come dice mio figlio ridendo soddisfatto. Gli piace l’idea di diventare per qualche secondo più coraggioso e forte di me. Poi entriamo nella sala degli specchi come quando ero piccolo e in alcuni ritrovo la mia immagine tonda e burrosa di quell’epoca, in altri sono così basso da sembrare io il figlio e lui il padre, alto e magro.

“Papà, queste sono giostre antiche” dice facendomi sentire un relitto mentre mi trascina verso la nuovissima attrazione in 3D. Fingere di essere su un carrellino che percorre una miniera sotterranea è divertente. Come pure navigare dentro un fiume con le rapide con il rischio costante che la canoa si ribalti per la corrente vorticosa e le rocce che affiorano dal fondo scuro. Solo quando si riaccendono le luci ricordo che è tutto finto, tutto inesistente e noi ci troviamo nella pianura piatta, arida a volte. Mi piace questo mescolare dei sensi e scoprire il profondo coinvolgimento della realtà virtuale.

Mia moglie si rifiuta di venire con noi. Dice che è un modo stupido per buttare dei soldi, ma sospetto che voglia lasciarci soli, permettere a noi due di trascorrere del tempo insieme.

Dopo qualche ora di gioco ci fermiamo al carretto dello zucchero filato dove una giovane straniera ci sorride mentre affusola i cristalli di zucchero dopo aver chiesto “Volete bianco, rosa o azzurro?” ne gustiamo uno ciascuno, rigorosamente bianco, e troviamo la complicità che non ho mai avuto con mio padre. Fortuna, almeno lo zucchero filato è rimasto, quasi, quello di una volta.

A quattro mani 2011

Ho finito il romanzo, ma…

Avevo scritto la parola fine al romanzo. Finalmente! Lo devo  rivedere ancora, sicuro,  pagine e pagine da rileggere  e libri da consultare , informazioni da controllare. Ogni volta ci sono parti che non mi convincono, da limare e aggiustare. Non sono una scrittrice giovane, ho cominciato tardi, quando altri , forse, si fermano. Un amore tardivo, si direbbe, ma l’emozione che provo rileggendo è  impagabile. La parte che amo di più è documentarmi, con   l’idea in embrione  che crescerà, a volte da sola. Amo scrivere e leggere romanzi storici o almeno legati alla storia, recente o antica, non importa. Mentre sto rimettendo mano alle pagine già scritte, penso ai nuovi personaggi, questa volta divertenti, ironici. C’è bisogno di ironia per sopravvivere.

Sabato ho partecipato alla festa di chiusura della associazione Griselda, di Certaldo. Si è chiuso un pezzo delle mie emozioni. Donne stupende, di uomini  ce ne sono meno, in verità, incontrate in una cornice splendida, sorprese artistiche e letterarie che si sono inseguite per un decennio. Ho conosciuto persone molto diverse, come sempre avviene, ho parlato di tutto, dell’infinito e del giallo, di economia, di amore, di vita. Una bella esperienza. Conservo i libri pubblicati, con anche i miei racconti. Nell’ultimo volume, dal titolo Noi che ci siamo scritte…, si sono, ma con un brano recente, crudo e duro della mia esperienza.Perché la vita sorprende e mette alla prova. Superata la prova, per ora.

In questi anni ho imparato molto sulla scrittura e due cose in particolare, che ci vuole pazienza e ci vuole costanza. Pazienza ne ho da vendere, costanza sta aumentando. Con un duro e severo esercizio che a volte si scontra con l’impazienza e la fretta, con risultati imprevedibili.

 

Lezione di musica- racconto

Un convento, l’istituto magistrale aveva sede in un convento e come tutti i conventi aveva il chiostro. Bello, grande, con i capitelli, il pozzo e la Presidenza. E in fondo l’aula della classe terza E.La sezione E notoriamente era la sezione dove i professori cambiavano spessissimo, anche i supplenti, che pure avevano bisogno di  lavorare. A causa della vivacità di noi studenti avevano trovato un’aula apposita, per permettere al Preside o al Segretario di intervenire prontamente, quando anche Otello, il bidello grande come un armadio, non riusciva a calmare gli animi. Quella mattina attraversai di corsa il lunghissimo corridoio e mi affacciai sul chiostro ansimante, come sempre all’ultimo secondo, ma avevo ancora qualche speranza di non entrare nel “Purgatorio” l’aula dei ritardatari. La porta della sezione E era aperta, la lezione di musica non era ancora iniziata.Il mio posto era l’ultimo della prima fila. Il muro era il cuscino dove appoggiavo la testa nei momenti più noiosi delle lezioni. Non dormivo veramente, mi allontanavo dalla situazione e fantasticavo. Il freddo era così pungente che decisi di tenermi la sciarpa. Mi accomodai e controllai la presenza dei compagni. I cinque maschi erano allegri come sempre, le compagne, chiacchieravano mostrando il diario zeppo di fotografie e scritte. Si aspettava la supplente di musica, la quarta dall’inizio dell’anno. Don Martini, la settimana precedente, prima della lezione di Religione, aveva detto:“Ragazzi, ma che fate ai professori di musica che si ammalano tutti?” Non si faceva niente, nel senso più stretto della parola.

Entrò  una giovane donna avvolta in un cappotto marrone, alcuni libri di musica in mano fra cui il libro di testo e la borsetta  a tracolla. Era piccola, minuta e quando Orsini, con i suoi due metri si alzò per l’appello sembrò più piccola ancora.“Qui ci sono dei maschi?” disse sorridendo benevolmente ”In un istituto di sole donne siete in minoranza!”Ecco, se c’era una cosa che i maschi dell’Albini non sopportavano era rimarcare la loro presenza in un istituto femminile. Relegati nella sezione A ed E erano una ventina in tutto, molto suscettibili e vendicativi e idolatrati dalle compagne.Alcuni avevano girato tutte le scuole della città, altri erano militari di una caserma, che raccoglieva atleti in odore di Olimpiadi. Orsini era uno specialista di salto in lungo e spesso non faceva i compiti perché si allenava, Leoni invece aveva messo insieme tre bocciature fra liceo e tecnico.   Erano ragazzi già adulti, abituati a vivere la loro vita, con l’obbligo di  prendere un diploma.  Alle parole della prof osservai i loro visi che, dopo un attimo di perplessità, s’illuminarono. Vendetta.  Con un gioco di sguardi si cominciò la battaglia contro la malcapitata, ignara di quello che sarebbe accaduto.

La professoressa  aprì il libro di musica e ci chiese di  fare altrettanto. La pagina  richiesta  era fitta di  righi e note musicali, alfabeto sconosciuto ai più della classe. Lei, visibilmente colpita dal silenzio che ne seguì, pensò di farci cantare il brano musicale. Alla sua voce lieve e intonata, si unirono altre voci profonde, da baritono, mentre ad un cenno di Orsini cominciammo a spostare in avanti i banchi, e le sedie, silenziosamente, centimetro per centimetro. Restavo muta per il mal di gola incipiente mentre i compagni snocciolavano tutto il repertorio delle canzoni più conosciute, ma evidentemente non scritte sul nostro libro. Dopo un accenno a  “Dio è morto”, subito zittito dalla sempre più spaventata professoressa, iniziarono i mazzolini di fiori e quanto di più popolare poteva uscire dalle nostre gole. Anche io spingevo lentamente la sedia e il banco in avanti, finché non mi trovai incastrata fra Donatella e Luciano, che cantavano a squarciagola “Fra martino campanaro”. La cattedra, sopraelevata dalla predella appariva una zattera in mezzo al mare di banchi sempre più vicini e minacciosi. Al canto di Santa Lucia non restava alcun passaggio libero per arrivare alla porta. La professoressa spaventatissima cominciò a urlare con quanto fiato aveva in gola, ordinandoci di tornare a posto. Inutilmente.

Richiamati dalle urla Il Preside e il segretario cercarono di aprire la porta bloccata dai banchi… Il segretario strillò ad Orsini di aprire la finestra, di smetterla con quella farsa. Dopo qualche strascico di risata e qualche accenno  a “ Fratelli d’Italia” i banchi tornarono al loro posto. Naturalmente Donatella disse di essere stata costretta a partecipare, iscrivendosi  volontariamente nella lista delle prossime vendette. Ridendo a più non posso ed evitando di guardare la malcapitata che appena possibile uscì di corsa, anche se mancava ancora mezz’ora alla fine della lezione, rimisi a posto il mio banco.

Il Preside si sedette alla cattedra e cominciò a parlare di Catullo. Chiusi gli occhi e sognai una bella manifestazione con il biondino del Tanari. Fui punita, come tutti, una settimana senza ricreazione in cortile, solo in classe, mentre i compagni giocavano a briscola e le mie amiche si truccavano raccontando di qualche spasimante della quarta. Fino a gennaio non si presentò nessuno, poi finalmente venne un trombettista,  ci portò subito in palestra  dove subito i maschi ruppero un vetro giocando a basket. Io restai seduta a farmi le unghie e a spettegolare con le compagne di quelle  smorfiose di quarta. Preso il diploma ho lavorato e lavoro ancora nella scuola cercando di sorridere.

 

Oggi si è laureato

Oggi si è laureato e io sono molto contenta. Il ragazzo che suonava il pianoforte ha completato gli studi con determinazione  e ostinazione. Lei ne sarebbe orgogliosa ed è stato come se fosse presente nello sguardo e nella pelle candida di suo figlio. Pubblico il racconto che scrissi allora, quando lei stava male, quando ci ha lasciati. Non per tristezza, ma per ricordare le cene, le chiacchiere e la musica. E lei, che oggi, in modo particolare, era nei nostri pensieri.

Il mio dolore oggi ( A Viviana)-

Chissà se ha sentito i botti dei fuochi d’artificio ieri sera?

Le sarebbero piaciuti quegli splendidi fiori rossi, blu e d’oro che esplodevano nel buio. E’ uno spettacolo che non ha mai voluto perdere nonostante gli impegni e la continua corsa per aiutare gli altri.

Ma ieri sera era lontana e non poteva sentirli. E anche se fosse stata più vicina avrebbe sonnecchiato, come le succede spesso da qualche settimana; sonnecchia per non sentire il dolore, quel dolore che morde le carni e non da tregua.

La tengono sopita perché non soffra e non viva attimo per attimo il male che sta prendendo possesso del suo corpo.  Non so perché sia accaduto, né perché a lei, proprio a lei. Non so darmi pace, perché stava sempre dentro le righe, mai uno sgarro nel vino o nel cibo, mai un vizio, tranne quello di essere disponibile per gli altri. E noi a ridere delle sue raccomandazioni, a prenderla in giro bonariamente durante le lunghe sere estive mentre sul fuoco sfregolava  la carne  grassa e il vinello fresco scendeva abbandantemente in gola.

Perché lei conosceva tutti nostri mali fisici e della mente e sapeva aiutarci a superarli, e ci confortava.
Il mio dolore oggi è non poterle tenere la mano e darle conforto. Vorrei darle la speranza di un domani più sereno, di un futuro con quel famoso viaggio mai fatto senza i mariti, di quelle chiacchiere fra donne che avevamo appena accennato. L’ultima volta, a cena, ho cercato di dirglielo,  avrei voluto fare qualcosa e lei mi ha risposto che lo sapeva ma di stare tranquilla, ci pensava lei.

Voleva anche lì consolarmi, proteggermi da queste lacrime. Non lo sa che io lo conosco fin dall’inizio questo suo dolore e che non volevo crederci. Sono stati gli occhi di suo marito che mi hanno resa consapevole e arrabbiata. Arrabbiata contro il destino. E che ci siamo frequentate fingendo che tutto andasse bene, mentre io spiavo i suoi gesti e il suo sguardo alla ricerca di una smentita, che non è venuta.
Con suo marito ormai ci sentiamo tutti i giorni, perché lui non ha parenti qui, sradicato dalle isole del sole. Mi racconta i giorni che passano e le flebili speranze e le grandi delusioni. Se cerco di consolarlo dice che sono bugiarda e allora io taccio e lascio che mi racconti la sua solitudine e il suo amore. Rivive la sua storia e ogni tanto sussurra che era bella, che era dolce e che anche adesso lo è, nonostante sia devastata. Adesso so che cosa li lega, lui sanguigno e allegro, lei eterea e cerebrale.

Oltre al figlio, naturalmente.

La sera della cena il suo ragazzo ha accettato di suonare il pianoforte, quello vecchio e scordato che ormai nessuno usa più. La sua  musica ci avvolgeva magicamente scacciando i cattivi pensieri. E’ la passione di sua madre e lui la segue docile e obbediente, sempre. Ottimi voti a scuola, ottima educazione, tanto sport. E il pianoforte. Senza mai lamentarsi. Come se sapesse, nel suo cuore, che non l’avrebbe vista invecchiare.

 

Ci sono troppe zanzare

Zanzare tigre la mattina, zanzare nostrane la sera, zanzare assetate di sangue la notte. Non basta il ventilatore, (per il condizionatore non ho ancora vinto la battaglia, troppo antiecologico, sigh!) per mandarle via. La verità è che mi pungono in continuazione, perché ho il sangue caldo, forse dolce, forse di un qualche gruppo sanguigno particolare, molto inseguito dalle zanzare. Sicuramente un sangue appetibile!  L’estate è anche questo: tedio per  il ronzio degli insetti volanti, per il caldo eccessivo, anche 37  gradi,  non un refolo di vento, ultimamente. Che rimane? Libri da leggere, molti, passeggiate, poche, a causa dell’afa, la vita più lenta. Perché il ritmo della vita a volte si interrompe e allora è indispensabile adeguarsi, per non  soccombere. Dopo questa estate rovente cambierò lavoro, farò progetti a breve scadenza, meno diluiti nel tempo,  forse, ma non so se riuscirò, prenderò la vita più lentamente. La curiosità mi sostiene, come sempre.

Che scriverò in questo nuovo blog? Argomenti  ce ve sono tanti e io poi mi sono trasferita qui da un altrove, e qui non conosco nessuno. Ma non importa, ogni cambiamento porta con sé nuove prospettive e nuove attese. Che scriverò dicevo? Di letteratura,di libri che leggo e di cose (romanzi e racconti mi sembra impegnativo) che scrivo, di attualità, di vita. Come sempre!   Riri52